Le vostre Realfiabe



 

Questo è un esempio di come le Realfiabe possano essere utilizzate e svilupparsi nelle scuole elementari.
La storia, in questo caso, è stata completamente inventata.

Adrena



Roberta è arrivata a casa di Tiziana, sua zia. Come ogni mattina, sua madre l'ha accompagnata prima di andare a lavorare salutando in tutta fretta dal cancello della villa.
"Ti chiamo appena posso" ha detto a sua sorella e, raccomandandosi per l'ultima volta con Roberta, ha buttato i soliti baci dal finestrino dell'automobile.
A Roberta piace molto stare a casa di sua zia, con lei non ci si annoia mai, c'è sempre qualcosa da fare.
Tiziana vive in campagna; ama dipingere, scrivere, leggere, preparare conserve e intingoli strani e, come se non bastasse, ha un'infinità di gattini appena nati da curare, i cani, la tartaruga e i pesci rossi.
Roberta è la figlia che ha sempre desiderato e che non ha mai potuto avere; è stata operata a soli diciassette anni a causa di un tumore alle ovaie e le ha dovute asportare entrambe.
Il tavolo, nel salone, è imbandito per la colazione - marmellata, crema al cioccolato, crostata e frutta d'ogni tipo appena raccolta.
Sulla scrivania della veranda, invece, un'infinità di fogli pasticciati.
"Che cosa stai scrivendo?" chiede Roberta incuriosita.
"Sto provando a scrivere una realfiaba."
"E che cos'è una realfiaba?"
"Una realfiaba non è altro che un racconto di vita vera con un finale da fiaba (… e tutti vissero felici e contenti)"
"Voglio scrivere anch'io una fiaba diversa. Siccome, però, sono grande, facciamo finta che io sono la maestra - così io detto e tu scrivi. Vuoi?"
"Va bene, signorinella, proviamo."
"C'era una volta…" inizia Roberta.
"E no!" replica sua zia, entrata già nella parte della bambina ribelle che ha sempre qualcosa da contestare; "Si tratta di una fiaba reale, non puoi iniziare così. Sarebbe meglio c'è, esiste, vive."
"Sì, sì, ho capito! Se dico c'era, però, vuol dire che c'era e che adesso non c'è più! È morta! Ma tu scrivi e basta. Non preoccuparti di quel che dico, ho tutto qui!" e con la mano destra tamburella sulla fronte.
"C'era una volta" ricomincia guardandola negli occhi con aria di sfida "una donna molto severa che si chiamava Alice come i pesci del mare."
"Come i pesci del mare?"
"Sì, hai capito bene, come i pesci del mare. Scrivi e non parlare più se no mi dimentico."
"Allora… C'era una volta una donna che si chiamava Alice, come i pesci del mare, che era molto severa e che morì di una brutta malattia! Anzi, e che morì, finalmente, di una brutta malattia!"
"Finalmente?"
"Uffa!... Allora, questa donna, Alice, aveva due figlie femmine, Antonella e Claudia."
"Due alicette!" pensa tra sé Tiziana nel momento in cui si piega ancor più sul foglio per nascondere una risata.
Roberta, ignara, continua.
"Adesso Antonella è grande e lavora e Claudia ha sette anni, come me, e va alla scuola elementare. A Claudia piace studiare. A scuola la prendono in giro e la conoscono tutti come la 'secchiona-cicciona' (che fa pure rima)"
"Non puoi descrivere con meno fervore questa storia?" la interrompe ancora una volta sua zia.
"No, non posso! Vuoi una storia vera? Allora questa è una storia vera! E Claudia è la mia compagna di banco!
Shh… per favore! Ma non sai proprio stare zitta? Allora… Claudia porta vestiti così larghi che sembra una donna con un bambino nella pancia. Io però le voglio bene perché è allegra e ride sempre al contrario di Giovanna, la piagnona. A me non importa se lei è cicciona. Non è colpa sua se ha quella'ghianda' che non funziona bene! Adesso Claudia si è messa in testa che vuole dimagrire e così regala la sua merendina a Roditore che la divora in meno di un minuto, quel mangia-mangia."

"Roditore?"
"Sì, zia, tutti in classe abbiamo un nomignolo, io per esempio sono Cotoletta. Il perché non lo so mica, ma se pensano di friggermi… si sbagliano di grosso! Ma torniamo a Claudia. Claudia è allegra, è brava, è gentile, ed è anche la mia migliore amica. Il problema è che sua sorella Antonella ha avuto un buon lavoro a Verona e Claudia andrà via e io non la vedrò più. Poi, se Antonella lavora, con chi sta Claudia? Qui ci sono io e viene spesso a casa mia, studiamo insieme e dorme anche. Ma a Verona? Si troverà un'altra amica e non penserà più a me! Questo è un problema! Un problema vero e non quello di essere grossa. Ora però la fine di questa storia la devo proprio inventare…
Allora facciamo che tu che sei mia zia, ma anche la mia seconda mammina, conosci un dottore che cura le 'ghiande' e che Claudia, se vuole guarire, deve rimanere per forza qui, e che tu, visto che vivi sola, la ospiti a casa tua e l'aiuti a fare i compiti, e cucini e lavi e fai finta di fare la mamma! Eh? Che ne dici?"
"Decidi tu, la storia è tua."
"Sì, penso che sia una bella fine. Tu, finalmente, sarai mamma, io avrò la mia amica sempre con me senza il rischio che qualcuno me la freghi e Antonella andrà a Verona e potrà lavorare tranquilla. E tutti vivranno felici e contenti!"
"Magari fosse vero!" pensa Roberta un po' rattristata; "In verità io conosco un bravo dottore, e forse, il problema della tua amica si può risolvere."
"Sì?! Davvero?! Che aspetti allora chiama questo dottore, dai!…"

Sono sicura che mia zia Tiziana sarà una brava mamma. Antonella è partita per Verona e Claudia vive a casa di mia zia. Adesso sono io che vado a casa di mia zia per trovare la mia amica e spesso dormiamo lì. Mia zia da non aver figlie adesso ne ha due: me e Claudia. Proprio come la signora Alice, solo che, finalmente, lei è viva!



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Raffaella abita a Brindisi, ha 7 anni, e deve fare la seconda elementare.
Raffaella è un po’ bassina, ha gli occhi marroni e si veste bene.
A Raffaella piace molto scrivere e disegnare.
Sa disegnare molto bene fiori, cuori e stelline.
E non ha nessuno con cui giocare perché è figlia unica.
La mamma di Raffaella vorrebbe un altro figlio però non ce la fa a farlo.
Raffaella per questo è triste e piange sempre.
Raffaella ha un’amica che si chiama Alessandra.
A scuola Raffaella e Alessandra si vedono sempre tranne quando hanno la febbre.
Raffaella a casa non ha nessuno.
Ora Raffaella ha cambiato casa ed è andata ad abitare nello stesso palazzo dove abita Alessandra.
Raffaella e Alessandra ora possono giocare insieme, mangiare insieme, studiare insieme, dormire insieme come due vere sorelle. E Raffaella non piange più.
La mamma di Raffaella ha adottato un bambino, adesso è lui che piange sempre!
Raffaella adesso ha un fratellino e anche Raffaella che è la sua amica un po’ sorella.

Realfiaba di A. Migaletti di 7 anni di Brindisi. La curatrice del sito possiede autorizzazione firmata di chi detiene la patria potestà alla pubblicazione sulla presente pagina web. - Ogni riferimento a fatti o persone realmente esistenti è puramente casuale. -



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L’hip hop è nato il 12 novembre del 1974 con l’apertura dell’Universal Zulu Nation.
Tutto ebbe inizio quando, i ragazzi dei ghetti newyorchesi, sentendosi oppressi cercarono un stimolo diverso, un nuovo stile di vita che permetteva loro di elevarsi mentalmente dagli altri individui.
E questa elevazione risulta essere garantita dalla pratica di alcune discipline che mirano a raggiungere vari scopi. Chi fa parte della cultura hip hop: b.boy e fly girl, questo lo sa bene!
L’hip hop è writing (graffiti) breaking (break dance) mc’ing (rappare o reppare?) e dj’ing (remixare una base da un vinile con un giradischi).
A queste arti che rappresentano la fusione tra le principali forme artistiche: disegno, ballo, musica ed espressione vocale si associarono ben presto gli esecutori: i writers dipingevano interi vagoni della metropolitana per scrivere un pezzo della propria storia e divulgare così il messaggio, i B-boy che creavano un nuovo tipo di ballo che li spingeva al massimo delle proprie possibilità verso acrobazie mai viste prima, i dj che creavano, modificando e mescolando un mix di diversi stili musicali esprimendoli diversamente e gli Mc che rappavano su queste nuove basi improvvisando con il cosiddetto beat box o freestyle.
La vita dei ragazzi di strada è difficile e piena di persone che continuano ad ostacolarci senza davvero conoscerci. Veniamo giudicati male per cose che non facciamo, e per persone che non siamo.
Siamo stanchi di dover continuare a nasconderci, a scappare, quando a noi basterebbe poco: un luogo, un piccolo posto dove ritrovarci, confrontarci, e tutto per un nobile scopo migliorarci in quello che ci piace - quello in cui ci identifichiamo. I pregiudizi della società sono il nostro più grande nemico!
Quello che noi cerchiamo di far capire esprimendoci è che non siamo vandali, non siamo spacciatori, non siamo delinquenti malavitosi, ma soltanto persone normali che invece di ballare il valzer o il flamenco ballano la break dance perché con essa ci identifichiamo, persone che invece di cantare musica normale cercano di far capire chi sono attraverso l’hip hop e il rap e che invece di essere un Raffaello o un Caravaggio preferiscono fare murales.
Noi siamo costretti dalla società formata dai “grandi signori” arricchiti, con la vista annebbiata dai soldi, a dover ballare in mezzo al pattume delle strade della città costretti ad imbrattare i vicoli, a cantare nei ghetti, perché nessuno prende in considerazione ragazzi come noi. Nessuno decide di aiutarci, nessuno ci dedica uno spazio!
Siamo tutti bravi a promettere, a parlare.
Ma a noi giovani chi ci pensa!?
È troppo comodo ignorare le nostre richieste con una scusa che non hanno alcuna base solida.
Lo diciamo e lo ripetiamo - non siamo cattivi ragazzi ma persone come tutte le altre con una necessita in più: Esprimerci! Questa è la realtà di Shout, Sonic, Glad, Delirio, Yncubo, e Skill Bless… , ma anche quella di tanti altri ragazzi che come noi amano l’hip hop.
Racchiudere il tutto troppo semplicisticamente soltanto in un suono, o in un graffito, è errato. L’hip hop è molto di più. È una cultura, una filosofia di vita, dove i confronti e le amicizie sono le principali protagoniste.
Molte persone ci classificano per il nostro modo di vestire senza tener conto della nostra creatività, della voglia di imparare. È molto raro essere apprezzati per quelli che siamo, bensì, risulta essere più facile essere catalogati come ragazzi di strada “pericolosi” dai quali stare alla larga.
Il nostro mostro da combattere è il vostro disinteresse.
Siamo amareggiati di non poter condividere con voi la nostra arte e siamo convinti che la fine più adeguata di questa fiaba reale è la rivalutazione di questo stile di vita e la concreta possibilità di avere adeguati spazi.

Scritta da Simone Voi (Delirio).

Rappresentata presso l’ Auditorium della Biblioteca Provinciale di Brindisi da: Francesca Voi (Shout) Simone Voi (Delirio) Raffaele Migaletti (Sonic) Andrea Baldassarre (Glad) Andrea Renna (Incubo) Luca (Skill Bless…) Romina (Swan)



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«Ma cosa sto facendo? No... non può essere!»
Esclamò Igor tra sé e sé, nel silenzio di un caldo pomeriggio d'inizio estate.
Era di fronte al cancelletto d'ingresso di quello che era stato in passato un asilo per bambini ed ora, già da decenni, era divenuto un ricovero per anziani.

Igor era come pietrificato e i pochi passanti parevano osservarlo, o almeno questo era quello che sembrava percepire lui. Si guardava lentamente attorno, con sguardo languido ed intimorito, tale e quale a quello di suo padre, che in quell'istante gli tornava preciso preciso alla mente come se gli ultimi quarant'anni non fossero mai trascorsi.

Il signor Igor era un anziano alto, dall'aspetto distinto e la corporatura longilinea; i suoi ottantaquattro anni se li portava proprio bene. Se non fosse per quelle spalle un po' ricurve e l'abbigliamento non proprio curato, poteva tranquillamente passare per un vecchio nobile, di quelli di altri tempi, di quelli che lui non aveva mai sopportato.

Igor era fermo da almeno dieci minuti di fronte a quel cancelletto chiuso, ancora verniciato di quel verdino chiaro e sbiadito, come era rimasto nei suoi ricordi di bambino. Al di là del cancelletto poteva osservare quei tre lunghi gradini di fronte alla porta principale d'ingresso e rivedeva se stesso in posa, quando, ormai ottant'anni prima, la fotocamera del fotografo del paese lo immortalava come bimbetto felice, col grembiulino bianco candido, il fiocchetto azzurro, le scarpette nere lucide e i piedi ben uniti. Quella foto lo aveva poi accompagnato per tutta la vita, si era ingiallita pian piano col trascorrere del tempo e la mostrava sempre orgoglioso agli amici più intimi.

All'improvviso uno schiocco metallico lo fece uscire dal viaggio nei ricordi. Il cancelletto si aprì lentamente di fronte ai suoi occhi mentre una giovane donna usciva dalla porta principale e gli andava incontro sorridendo e dicendo: «Lei non può essere che il signor Igor, sbaglio?»

«No, non sbaglia signorina, sono proprio io.» rispose con voce calma e rassegnata Igor.

«Prego, si accomodi; io sono Paola, piacere.» La signorina Paola porse la mano ad Igor, con un sorriso gentile ed Igor a fatica contraccambiò quel gesto di dolcezza mentre le stringeva la mano.

«Prego, venga dentro e si accomodi; vado a dire alla nostra direttrice che è arrivato.»

Non appena varcò la soglia del cancelletto, Igor ebbe un tuffo al cuore e gli parve di fare un vero e proprio salto nel tempo, indietro di quegli ottant'anni che lo separavano dall'ultima volta che aveva calpestato quel suolo, che aveva camminato e giocato sotto quei grandi alberi.
Non gli pareva vero, dover tornare da vecchio, solo e un po' malato in quel luogo che era rimasto nei suoi ricordi come immagine di gioia, spensieratezza e solarità. Gli pareva ancora di vedersi, aggrappato alla rete di recinzione, mentre felice salutava sua madre che passava in bicicletta di ritorno dalla campagna, dopo una dura giornata di lavoro, col fazzoletto in testa, tra le stanche compagne.
«Ciao mamma!!!»
«Ciao bello ... aspettami che adesso arrivo...»
Rispondeva lei sorridendo, continuando a pedalare; e da lì a poco sarebbe tornata per riportarlo a casa.

Ora era davvero tutto diverso; dov'erano i compagni, gli amici?
Igor entrò nell'atrio e si chiuse la porta alle spalle.
Dov'erano le suore in bianco e nero?
Dov'era Rachele? La bimba per la quale aveva provato quel qualcosa che solo dopo, con gli anni, avrebbe capito essere la prima vera e propria forma di attrazione e forse d'innamoramento.
Solo anziani, anziani e giovani donne ad accudirli.
Anziani seduti in giardino, anziani seduti nell'atrio, anziani seduti in silenzio alla sala TV; anziani e solo anziani, null'altro che vecchi esseri umani giunti ormai quasi al traguardo dei loro percorsi.

Igor si accomodò sull'unica poltroncina libera e si fermò a pensare, e pensando viaggiava indietro negli anni della sua giovinezza; tornò a quando aveva mollato tutto e tutti per andare oltre oceano. Là aveva trascorso gli ultimi quarant'anni della sua vita.
Aveva lasciato tutto quando anche suo padre se n'era andato per riunirsi a sua madre nel cosiddetto "regno dei cieli" e gli pareva di non aver più nulla per il quale valesse la pena restare tra i ricordi.

L'amore non era stato generoso con lui e, dopo svariate storie, più o meno durature, decise di rinunciare all'idea di poter trovare la "donna della sua vita" e così trascorse gli anni in quasi completa solitudine.

Soltanto dopo dieci anni dall'arrivo della meritata pensione pensò di voler trascorrere la fine della sua esistenza nel suo piccolo paese d'infanzia. La non completa autosufficienza, unita alla sua solitudine, lo diressero quindi a pensare alla soluzione del "ricovero", o almeno di provarci, nonostante l'idea di dover tornare da vecchio in quel luogo di ricordi di estrema giovinezza non lo convincesse certamente appieno.

Igor aveva un unico fratello, più grande di lui di sette anni, ma erano ormai anni che non lo vedeva e non lo sentiva. Tramite amici aveva saputo che, nonstante i novantun'anni di età, era ancora vivo ed in buona salute. Tutto era degradato nei grigiori dei rancori più reconditi, tra incomprensioni e parole non dette.
E Alba, la piccola Alba? La sua unica nipotina, che aveva tanto amato; da quanto non la vedeva. L'ultima volta lei doveva ancora terminare le scuole elementari, ora doveva essere una donna di ormai quasi cinquant'anni, ed Igor di tanto in tanto immaginava come poteva essere la sua vita.

Mentre aspettava, Igor non potè sottrarsi dall'osservare la porta che dava l'accesso alla camera più grande, il cosiddetto "salone", come erano solite chiamarlo le suore ai tempi dell'asilo. Quella grande stanza dove da bambini dormivano il pomeriggio sulle verdi brandine, dove Igor recitò la parte del fiore in occasione di una festa della mamma, dove venivano organizzate tutte le festicciole con i compagni e i genitori e dove Igor si avvicinò per la prima volta impavido alla piccola Rachele. In quell'occasione si alzò deciso dalla sua sedia per chiedere il nome alla sua compagna del cuore; lei rispose con nome e cognome ed Igor portava ancora dentro di sè quella scena come avvolta nella più sincera amorevolezza umana.
Quella era forse stata la prima ragione che aveva portato Igor, con gli anni, a maturare la convinzione che tutti gli esseri umani nascessero pieni di amore e sincerità; doti che poi sarebbero più o meno andate perse per tutti non appena il tempo avesse dato loro modo di entrare nel mondo dei cosiddetti "adulti".

Che ricordi vividi conservava ancora Igor su quel luogo, su quella stanza.
Ora era lì, a pochi passi da quella porta, chiusa, e a fianco dello stipite di destra c'era una targa riportante la scritta: "Sala di Ritrovo".

«Ritrovo...» pensò Igor «...certo, il ritrovare lì dentro che gli anni e la vita sono andati per sempre e di certo mai più ritorneranno...» continuò tra sé e sé.

Ad un tratto un campanello suonò e rimbombò eccessivamente in tutto l'atrio.
La signorina Paola arrivò di corsa dal piano superiore ed aprì la porta accogliendo una signora che Igor notò subito per l'aspetto elegante e sobrio ed un'aria stranamente emozionata e felice.
Era alta, forse quasi un metro e ottanta e i lunghi capelli biondi le scendevano ondulati sulle spalle. Parlò per alcuni minuti con Paola e poi si diresse decisa verso Igor.
Igor parve alquanto sorpreso nel vedere la donna avvicinarsi verso di lui e non ne fu completamante certo fin quando udì le sue parole.

«Ciao zio, come stai? Sono Alba, tua nipote. Non mi riconosci, vero? E certo, come potresti. Mio padre ha saputo che arrivavi e insieme abbiamo deciso di venirti a prendere. Cosa ne pensi?»

Igor guardò la signora, guardò Alba, la sua piccola Alba; ma come poteva esser davvero lei? Non riuscì a dir nulla, per secondi, minuti; la guardò fissa negli occhi, in silenzio, poi, all'improvviso, smosso da una carezza e da un abbraccio che ricevette;

«Alba. Sei davvero tu?»
Non sapeva cosa dire, non era preparato a quell'incontro. Nel lieve disordine mentale continuò:
«Venirmi a prendere? E per andar dove?»

«A casa nostra zio. Mio padre ti aspetta.» rispose Alba in tono fermo e rasserenante.

Igor non capiva bene il perché, ma l'unica azione che riuscì a compiere fu quella di alzarsi dalla poltroncina e seguire quella gentile signora, che diceva di essere sua nipote. Salutò con gesto appena accennato e poco convinto gli altri anziani ospiti dell'ospizio, che eran seduti lì nell'atrio con lui ma che non aveva ancora avuto modo di conoscere. Uscì dalla porta principale, seguendo Alba e Paola.

Mentre Igor si allontanava con Alba, Paola chiuse il cancelletto alle sue spalle e lo chiamò:
«Signor Igor» disse;

«Sì?» rispose Igor fermandosi e girandosi, quasi come se sapesse che qualcosa era ancora in sospeso, che qualcosa ancora doveva essere detto.

Paola teneva una foto nella mano destra e la stava porgendo ad Igor attraverso le inferiate del cancelletto.

«Mia nonna Rachele vorrebbe che lei tenesse questa foto.»

Igor si avvicinò lentamente e prese tra indice e pollice della mano destra la fotografia.
Era una foto che ritraeva il piccolo Igor vestito da Cow-Boy durante una festa di carnevale svoltasi nel solito salone dell'asilo e stava abbracciato, guancia a guancia, alla piccola Rachele; entrambi sorridevano e portavano negli occhi tutta la gioia e l'innocenza che soltanto a quell'età apparteneva. Due lacrime gli fecero lentamente brillare due strisce di pelle sul volto avvizzito.

«Nonna Rachele...» continuò Paola «...era a conoscenza del suo arrivo qui ed ha voluto che io avvertissi suo fratello e sua nipote Alba; spero di non essere stata troppo invadente.»

«Affatto cara...» rispose commosso Igor «...lei mi ha donato il dono più immenso che mai avrei potuto sperare. La conferma che il mito dell'Amore, dopotutto, merita davvero tutta la fama che sembra avere.»

Gli occhi di Paola si gonfiarono lievemente di emozione, e dopo alcuni istanti replicò:
«Certo signor Igor, pare proprio che sia come dice lei.»

Il vecchio Igor salutò e lentamente scomparve, lontano, a braccetto con sua nipote Alba. Mentre Paola lo guardava pian piano svanire, notò il canto delle cicale e le grida di alcuni bambini giocosi che passavano per caso in quell'istante, al di là del cancelletto chiuso.

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Dedicato ai miei genitori, Gino e Nina.

Mirco Grassilli - "Grass" - Dicembre 2006




…freshly squashed fly,
you mean nothing…



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